La via dimenticata
E così mi ritrovai sotto la pioggia, da sola, di notte, con la macchina fuori uso. Ad un certo punto mi resi conto che quella sera il cielo era strano, diverso dal solito: era innaturalmente nero, povero di stelle; neanche la luna era visibile in quell’oscurità. Improvvisamente mi sentii inquieta, persa. Avevo dimenticato il motivo del mio viaggio, e persino la mia meta. Non lontano da me c’era un muretto di pietra, un po’ consumato dal tempo. Mi ci avvicinai. Da lì era possibile scorgere tutta la città; si espandeva, immensa, sotto di me, illuminata sa migliaia di luci variopinte. In lontananza si vedeva anche il mare, nero e denso come una macchia d’inchiostro che copriva l’orizzonte. Si sentivano vagamente i rumori del traffico, ma sembravano così irraggiungibili e distanti dal luogo in cui mi trovavo. Ebbi l’inquietante impressione di essere già stata in quel posto, con qualcuno, ma erano ricordi sfumati, logorati da tutti quegli anni. Riuscivo a rammentare solo una confortante sensazione di serenità, e per un momento mi sentii più leggera, ma solo per un istante, poi il petto fu invaso dalla malinconia. Cominciai a camminare lungo quella strada deserta, non curandomi della pioggia fredda che pizzicava la pelle. I palazzi alla mia destra sembravano inabitati, poiché da essi non proveniva nessun suono, nessuna voce. Quella pace avvilente richiamò alla mia mente un tempo in cui da quei balconi e dalle finestre si potevano scorgere ogni giorno donne, uomini, anziani, bambini, famiglie che conducevano le loro vite ordinarie, serene, e ricordai quanto era rilassante star lì a guardarli. Vidi su un terrazzo una palla rossa e rammentai che apparteneva ad una bambina che stava sempre lì a giocare, allegra. Adesso quella palla giaceva lì, abbandonata e scolorita. Chissà per quanto tempo era rimasta su quella terrazza senza che nessuno la toccasse. Mi fermai vicino ad un lampione, ormai vecchio, ricoperto di edera. Ad un tratto un gatto balzò agilmente sul muretto, spaventandomi. Mi guardò con i suoi grandi e limpidi occhi verdi e mi ricordai anche di lui. Mi chiesi come avesse fatto a sopravvivere tutto quel tempo. Cercai di richiamare alla mente la persona con cui ero solita passeggiare per quella via e il motivo per il quale le nostre vite si erano separate. Forse era stato per un sogno lontano, ormai dimenticato. Smisi di camminare e mi soffermai a guardare il panorama. In lontananza si scorgeva un enorme palazzo rosato, dalle mura merlate e piene di finestre, era molto più grande del castello che gli si ergeva di fianco. Lo conoscevo, quel palazzo, e quando mi ricordai completamente che cosa fosse le lacrime mi velarono gli occhi. Mentre i tempi passati si facevano più limpidi nella mia mente, dai ricordi affiorò una voce: “un giorno sarò lì dentro e ogni volta che mi affaccerò alla finestra guarderò il mare e penserò a te”. Era una bugia. Colui a cui apparteneva quella voce era lì dentro, forse in quel momento si era affacciato alla finestra, ma di sicuro non stava pensando a me. Mi ritornò in mente il suo nome e lo pronunciai singhiozzando, con la voce rotta. Mi guardai intorno, era tutto così familiare eppure tanto sconosciuto.
Ad un tratto mi sentii la persona più sola al mondo.
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Io (domenica, 08 settembre 2019 21:59)
Bello e profondo al punto di vedere le immagini che racconti e camminare tra quei palazzi insieme a te a condividere la tua solitudine.
Liz (sabato, 28 marzo 2020 20:28)
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