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"Chi sono i Curdi?" di Giulia Di Carlo, 5D

Il kurdistan è una regione, abitata prevalentemente da Curdi, che, non essendo riconosciuta come Stato autonomo dalla comunità internazionale, è divisa tra gli Stati di Turchia, Iraq, Iran, Siria e le ex repubbliche sovietiche di Georgia e Armenia. Ciò che ha da sempre privato questo popolo della serenità, è la strategicità della posizione della zona e soprattutto la presenza cospicua di petrolio nel sottosuolo che, non è difficile da immaginare, ha sempre stuzzicato gli appetiti delle potenze straniere. La storia dei curdi è molto lunga e travagliata, ma per dirla in breve: nessuno degli Stati sopracitati ha mai riconosciuto l’indipendenza di questo popolo. La Turchia, come è ben risaputo, ha sempre osteggiato le minoranze in nome del suo spirito nazionalistico, al punto tale che in un determinato momento storico i curdi furono definiti “i turchi delle montagne”, in quanto non era accettabile nemmeno riconoscerne l’esistenza. Nel 1984 Abdullah Öcalan fondò il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan di stampo leninista-marxista), che operava mediante attacchi alle forze governative e civili. Il governo turco iniziò la persecuzione degli esponenti di questo partito e Öcalan fu costretto a scappare prima in Russia e poi in Italia, dove giunse nel 1998. Qui si consegnò alla polizia, aspettandosi di ricevere asilo politico, ma l’allora governo D’Alema, temendo il boicottaggio turco delle aziende italiane, non glielo concesse. A quel punto fu convinto a partire per Nairobi, in Kenya, e lì fu catturato e condotto in un carcere di massima sicurezza dai Servizi Segreti Turchi. In prigione ebbe l’occasione di leggere gli scritti dell’anarchico statunitense Murray Bookchin, che aveva elaborato la teoria dell’ecologia sociale e del municipalismo libertario. Tali teorie, insediatesi nella testa del fondatore del PKK, lo inspirano a modificare l’assetto ideologico del partito e a gettare le basi per il “Confederalismo Democratico”. Modello di organizzazione, questo, che è stato ripreso e adottato dai curdi in Siria, nella regione chiamata Rojava. Il Rojava era suddiviso in tre cantoni: quello di Afrin, Kobane e Al-Qamishli. Se uno di questi nomi vi è familiare, è perché dell’amministrazione rivoluzionaria di questa regione se n’è parlato tanto. E soprattutto nel mondo occidentale Kobane è famosa per essere la città che ha sconfitto l’ISIS. Infatti il 12 ottobre del 2014 lo Stato Islamico aveva assediato tutta la città e ne controllava ormai l’80 %. Tuttavia dopo quattro mesi di combattimenti, con oltre duemila morti, i militanti di YPG (unità di protezione popolare mista) e YPJ (unità di protezione costituita da sole donne), sono riusciti a riconquistare la città. Il contratto sociale del Rojava prevede la convivenza di diverse etnie, religioni e culture all’interno di uno stesso territorio. Le donne lì esercitano un ruolo fondamentale: oltre ad aver fondato una milizia autonoma, sono parte integrante dell’organizzazione Statale, e molte di loro sono dichiaratamente musulmane. In un territorio distante dalle nostre telecamere e dagli opinionisti di turno, che danno adito a pregiudizi razziali e religiosi per ottenere consensi, uno Stato fondato sulla liberazione della donna ne combatte un altro fondato sulla sua oppressione (Daesh), e nel frattempo dà lezioni di democrazia all’Occidente. Tuttavia la geografia del Rojava è cambiata da quando la Turchia ha deciso di inviare le sue truppe nel cantone di Afrin. Ed ora che apparentemente l’ISIS sembrerebbe esser stato sconfitto, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dalla Siria (dove appoggiavano YPG e YPJ in cambio di petrolio) e lasciare i Curdi in balìa delle smanie di potere di Erdogan (primo ministro turco). Da ricordare è il versante iracheno. Anche qui i curdi non hanno avuto vita facile. Il 25 settembre 2017 la popolazione era stata chiamata a votare per l’Indipendenza del Kurdistan, ottenendo il 93% dei consensi, tuttavia Iraq, Iran, Turchia e Stati Uniti si sono dichiarati contrari. Infine, in Iran attualmente la minoranza curda è rappresentata dal Partito Democratico del Kurdistan Iraniano e dal Partito per la Libertà del Kurdistan (PJAK). I curdi, come altri popoli celebri nella storia, non hanno mai trovato e non trovano tuttora stabilità, perché è nell’interesse di varie nazioni, se non tutte, che rimangano frammentati. Per qualcuno sono il capro espiatorio di cui si serve per ottenere consensi elettorali. Per altri una fonte inestimabile di petrolio. Per altri ancora, una minaccia alla nazione. Per il mondo occidentale un bell’esperimento da guardare in televisione. Per pochi uno spiraglio di libertà tra le macerie.

Giulia Di Carlo, 5D

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