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Episodio 2: “Maracanaço”, di Luca Minopoli, 5C

Come accennato nell’episodio precedente, in uno dei paesi più affascinanti del mondo le vicende sportive sono vissute in maniera differente, e difficilmente comprensibile: questo paese è ovviamente il Brasile. 

Tra le partite di calcio che possono essere definite iconiche, sicuramente quella che sto per raccontarvi è una delle più importanti. La finale del Mondiale del 1950 svoltosi proprio nella nazione carioca è Brasile-Uruguay. Per capire l’importanza dell’evento basti pensare che la partita è tra le poche nella storia del calcio a non essere identificata con il risultato e l’anno di essa, ma col nome del luogo in cui si è svolta. “Maracanaço” è il termine utilizzato, ed è difficilmente traducibile in italiano, sarebbe da rendere con “la Maracanata”, ma distrugge ogni tipo di drammaticità e poesia che esso trasmette. L’unico modo per tradurlo senza disfare eccessivamente ogni tipo di emozione che quella partita ha generato è “disfatta del Maracanà”, lo stadio leggendario nella quale si è svolta la partita. 

Nel 1950 il mondiale non si decideva nella partita secca come la finale classica che conosciamo tutti, ma con un girone finale di 4 squadre, in quel caso composto da Brasile, Svezia, Spagna e Uruguay; si arriva all’ultimo turno di partite solo Brasile (primo a punteggio pieno con 13 gol fatti e solo 2 subiti) e Uruguay (un punto in meno rispetto alla Seleçao), e ovviamente manca lo scontro tra queste 2.

 

Il clima con cui si arriva alla partita è pressoché surreale: dire che il Brasile è favorito è un eufemismo, e i brasiliani ne sono perfettamente coscienti, infatti il calciatore brasiliano Zizinho anni dopo dichiarò di aver firmato oltre duemila autografi con scritto “Brasile campione del mondo”. Ma non solo, addirittura la CBF (Confederao Brasileira de Futebol, l’equivalente della FIGC italiana) regala il giorno prima della partita un orologio d’oro a tutti i giocatori del Brasile con incisa la dedica “Ai campioni del mondo”. Il tutto condito dalla vendita di 500.000 magliette con scritto “Brasil campeão 1950” e non credo sia necessaria una traduzione per questa espressione. 

Si arriva alla partita in questo clima semplicemente inimmaginabile, stadio ovviamente pieno, forse un po’ troppo pieno, considerando la capienza di 200.000 posti e probabilmente ce ne erano 225.000 (difficile avere una stima certa, alcuni riportano 180.000 paganti e 200.000 presenti) cifre che oggi sono quasi raccapriccianti per quanto grandi. 

Alle ore 15 del 16 Luglio 1950, l’arbitro fischia il calcio di inizio della partita più memorabile della storia del calcio: inizia Brasile-Uruguay 

 

In un’atmosfera normale non dovrebbe esserci storia, il Brasile è superiore e non di poco, nonostante l’Uruguay possa contare su ottimi giocatori come Schiaffino (che ha giocato anche nel Milan) e soprattutto il capitano Varela, ancora oggi ricordato per le sue immense doti da leader. Ma quella è tutt’altro che una partita normale. 

La Seleçao passa in vantaggio subito dopo l’inizio del secondo tempo, Friaça segna il primo gol della partita facendo impazzire il Maracanà, e tutti ormai si preparano ai festeggiamenti per la vittoria (iniziati prima della partita). Ma gli uruguagi mantengono incredibilmente la calma, sia grazie al capitano Varela, che continua a ripetergli “quelli là fuori non esistono” riferendosi ai tifosi brasiliani, sia grazie alla consapevolezza che quelli che hanno qualcosa da perdere non sono loro, ma i padroni di casa. E infatti al 66º arriva il pareggio dell’Uruguay con Schiaffino, ma anche con questo risultato il Brasile sarebbe campione del mondo. 

79º minuto, scatto di Ghiggia, ala dell’Uruguay (anche lui ha militato nel campionato italiano, alla Roma), il portiere carioca Barbosa commette un piccolo errore di piazzamento, e consente a Ghiggia di segnare il 2-1, congelando sia il risultato, sia lo stadio intero. Finisce così, l’Uruguay è per la seconda volta campione del mondo.

 

Il Brasile è letteralmente tramortito da questo evento, nel paese si contano 34 suicidi e 56 morti per arresto cardiaco, 3 giorni di lutto nazionale (come per Ayrton Senna nel 1994).

È stupefacente come questa partita non solo sarà ricordata per sempre da ogni brasiliano che l’ha vissuta indipendentemente dall’età che egli avesse allora, ma come l’espressione “Maracanaço” sia utilizzata tutt’oggi per definire un evento tragico in particolar modo domestico da tutte le famiglie brasiliane, ormai è parte della cultura brasiliana, in modo inestricabile. E se il nome attribuito ad una partita ormai appartiene all’immaginario collettivo di un’intera nazione da oltre 65 anni, direi che inquadrare culturalmente un paese senza considerare lo sport sia pressoché impossibile o quantomeno superficiale, perché lo sport non è solo intrattenimento, e il “Maracanaço” non è solo una partita di calcio.

 

“Nossa Hiroshima” Nelson Rodrigues, giornalista e scrittore brasiliano.

 

Luca Minopoli, 5C.

 

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